…Per tutte queste ragioni, onorevoli colleghi che ci avete preannunciato il processo sulle piazze, vi diciamo che noi non ci faremo processare…
Aldo Moro è sempre stato considerato un politico pacato. Anche per questo le parole pronunciate il 9 marzo del 1977 in Parlamento, durante una discussione sullo scandalo Lockheed, destarono un certo scalpore e sicuramente a molti dei suoi colleghi saranno tornate in mente un anno dopo quando, la mattina del 16 marzo 1978, le agenzie di stampa iniziarono a battere la notizia che il presidente della Democrazia Cristiana era stato sequestrato dalle Brigate Rosse, che avevano ucciso i cinque uomini della sua scorta e lo avevano portato nella "prigione del popolo" per sottoporlo a un "processo proletario".
Iniziano quel 16 marzo i 55 giorni più lunghi della storia dell’Italia Repubblicana, che termineranno il successivo 9 maggio quando i terroristi faranno ritrovare il cadavere dello statista pugliese dentro una Renault 4 rossa, parcheggiata in una centralissima via di Roma.
Chi era Aldo Moro?
Aldo Moro in quel momento è probabilmente, insieme a Giulio Andreotti, l’uomo politico più potente del paese. Di lui si parla apertamente come prossimo presidente della repubblica e proprio quel 16 marzo il Parlamento si appresta a votare la fiducia al nuovo governo guidato da Andreotti, governo fortemente voluto da Moro, contro molti dei suoi stessi compagni di partito: per la prima volta dal 1947 il Partito Comunista farà parte integrante della maggioranza. Malumori ci sono anche tra i comunisti ma il suo rapimento e il massacro degli uomini della sua scorta fanno passare in secondo piano tutti i dubbi che fino alla sera prima ancora aleggiavano tra i parlamentari: la Camera prima e il Senato dopo impiegano pochissimo tempo a votare la fiducia al governo Andreotti in modo da avere un esecutivo con pieni poteri in quelli che si preannunciano da subito come i giorni più difficili della storia della Repubblica.
Il terrorismo non è un fenomeno esclusivamente italiano: se Spagna e Irlanda devono fare i conti con gruppi armati separatisti come ETA e IRA, Francia e Germania vivono esperienze, seppur a più bassa intensità, simili a quelle italiane: in Francia tra il 1979 e il 1987 agì un gruppo chiamato Action directe, mentre in Germania, la Rote Armee Fraktion, conosciuti anche come Gruppo Baader-Meinhof, attiva dal 1970 al 1998, giusto pochi mesi prima del sequestro Moro aveva rapito il capo degli industriali tedeschi Hanns-Martin Schleyer, sequestro conclusosi drammaticamente con l’uccisione dell’uomo e con la morte in carcere dei fondatori del gruppo.
Un sequestro mediatico
Le BR durante il sequestro provarono a sfruttare la stampa, cercando di trasformare i media in cassa di risonanza dei comunicati che arrivavano dalla cosiddetta prigione del popolo con i quali intendevano aggiornare il paese sul "processo" cui stavano sottoponendo il leader DC. Molti giornali si interrogarono se non fosse il caso di non pubblicare quei comunicati e alcuni lo fecero.
Il primo comunicato, con il quale i terroristi rivendicano il sequestro e la strage della scorta, è del 18 marzo e accompagnava una foto del leader DC, la prova che Moro è vivo, cosa che qualcuno aveva messo in dubbio; parlano per la prima volta del SIM, Stato imperialista delle multinazionali e, come negli altri comunicati, il linguaggio è contorto e vi si può leggere in filigrana studi dei classici marxisti e un'analisi che prova a far presa sulla classe operaia dalla quale però, proprio in quei giorni, sembrano sideralmente distanti.
L’uccisione di Aldo Moro
Ne seguiranno altri otto di comunicati cui i terroristi cominciano presto ad affiancare delle missive che Aldo Moro scrive ai suoi famigliari e soprattutto ai politici dai quali, intuisce, dipende in parte la sua sorte.
I partiti respingono compattamente ogni ipotesi di trattativa e mediazione, con le uniche eccezioni del PSI e della sinistra extraparlamentare: temono di creare un precedente, hanno il timore che la cittadinanza possa non capire. Si arriva così al 5 maggio quando le BR fanno arrivare il nono comunicato:
A parole non abbiamo più niente da dire alla DC, al suo governo e ai complici che lo sostengono. L'unico linguaggio che i servi dell'imperialismo hanno dimostrato di saper intendere è quello delle armi, ed è con questo che il proletariato sta imparando a parlare. Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato.
Seguiranno quattro giorni frenetici di incontri e messaggi indiretti, ma il 9 maggio le Brigate Rosse annunciano l’esecuzione del leader democristiano dando le indicazioni per farne ritrovare il cadavere in via Caetani a Roma, a pochi passi dalle sedi nazionali delle Democrazia Cristiana e del Partito Comunista.
Quello che emerse chiaramente durante i 55 giorni del sequestro fu che lo Stato era totalmente impreparato a gestire un evento di quella portata. Il terrorismo venne sconfitto alcuni anni dopo, con i pentiti e perché isolato nel paese e lontanissimo dagli interessi delle classi che diceva di voler rappresentare.
Il sequestro Moro tra letteratura e cinema Pochi mesi dopo l’uccisione del leader democristiano Leonardo Sciascia, uno dei maggiori intellettuali italiani, scrisse "L’affaire Moro" un istant book sul sequestro spiegando così il motivo che lo aveva spinto a farlo:
Aldo Moro morendo, nonostante tutte le sue responsabilità storiche, ha acquistato una innocenza che rende tutti noi colpevoli, anche me […]. Morendo Aldo Moro si è, per così dire, spogliato della tunica democristiana. Il suo cadavere non appartiene ad alcuno, ma la sua morte ci mette tutti sotto accusa.
Molti altri testi, saggi e romanzi, sono stati scritti ma è stato soprattutto il cinema a confrontarsi con il terrorismo in generale e con il sequestro e l'uccisione di Aldo Moro e della sua scorta in particolare. Il primo fu Gianni Amelio che nel 1983 diresse "Colpire al cuore", in cui gli anni di piombo fanno da contorno a un difficile rapporto tra un padre e un figlio.
Molte polemiche accolsero, nel 1986, l’uscita del film di Giuseppe Ferrara "Il caso Moro", quasi una cronaca dei giorni del 1978 ma che evidentemente aveva toccato nervi ancora molto scoperti, cosa di cui il regista era ben cosciente ma che rivendicò con coraggio.
Cambiò invece completamente registro Marco Bellocchio che nel 2003 diresse "Buongiorno, notte": pur non rinunciando agli elementi di cronaca sceglie, un finale quasi favolistico nel quale immagina Aldo Moro, lasciato fuggire da una terrorista dalla sua prigione, in una mattina di primavera che si trova a camminare in una Roma deserta sulle note della splendida "Shine On You Crazy Diamond" dei Pink Floyd.
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